In zona La Pineta, nei pressi della città di Isernia, si possono ammirare i resti di un antichissimo accampamento dell’uomo preistorico datato circa 730.000 anni fa. Il ritrovamento avvenne per caso. Era il 1978. In occasione dei lavori di sbancamento per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto le ruspe misero in luce casualmente i resti di un accampamento preistorico. La fortuna volle che un certo Alberto Solinas, un ricercatore in vacanza in Molise, nel maggio del 1979 visitò gli scavi di natura edilizia. Egli si dilettava a visitare queste tipologie di scavi in quanto permettevano di analizzare la stratigrafia del terreno. Fu così che casualmente si imbatté in un cranio di bisonte. Sottopose questo ed altri reperti all’indagine scientifica dei professori dell’Università di Ferrara. Questi ultimi ne confermarono la straordinaria importanza informando prontamente la Soprintendenza Archeologica del Molise la quale bloccò i lavori programmando una serie di saggi di scavo per appurare la consistenza del giacimento.Il tracciato della superstrada venne così spostato ed oggi il sito archeologico di Isernia vanta un’importanza mondiale. L’abbondanza dei reperti rinvenuti è tale da permettere lo studio degli antichi animali che abitavano la zona quali bisonti, rinoceronti, orsi, elefanti e una serie di micro-mammiferi. Da sottolineare inoltre il ritrovamento di specie mai segnalate prima d’ora in una zona così meridionale dell’Europa. I massi levigati e le ossa di animali testimoniano altresì la presenza dell’Homo Erectus lungo le sponde del fiume. Le campagne di scavo, tuttora in corso, hanno portato alla luce almeno quattro insediamenti collocati a diversi livelli che accertano la frequentazione del sito in diversi periodi. Il Museo Nazionale del Paleolitico, inaugurato nella primavera del 1999, sorge sulla zona del ritrovamento archeologico. Il complesso museale è stato concepito come un laboratorio permanente dove i reperti vengono scavati, restaurati, studiati ed esposti in loco. Il visitatore, una volta terminata la struttura, si troverà immerso in uno spazio polifunzionale che comprenderà sale espositive, laboratori scientifici, tavole didattiche, sale per conferenze e proiezioni ed anche un moderno sistema computerizzato e di tele-conferenza, nonché ricostruzioni virtuali. Il Museo Nazionale del Paleolitico comprende anche il Museo Nazionale di Santa Maria delle Monache, un antico monastero dell’Ordine Benedettino delle monache di clausura, dove è possibile visitare la mostra dei reperti paleolitici provenienti dall’accampamento preistorico. Il Museo archeologico di Santa Maria delle Monache presenta un lapidarium con reperti di epoca sannitica e romana. Annessa alla struttura la Biblioteca comunale Michele Romano con oltre 20.000 volumi ed antiche stampe (LC).
Pur figurando nell’elenco dei musei minori non statali, il Museo Civico di Baranello è sicuramente uno dei più importanti e interessanti per ampiezza di reperti e per valore storico artistico dei pezzi custoditi. Il museo nasce per volere dell’architetto Giuseppe Barone che, con rogito notarile dell’11 dicembre 1897, dona all’amministrazione comunale di Baranello la sua collezione privata di oggetti di arte antica e moderna. La collezione consiste in antichità classiche, maioliche, porcellane, bronzi, avori, medaglie, monete, vetri e svariati oggetti di interesse storico e artistico. Fu lo stesso architetto a catalogare e disporre in sale la collezione che, nello stesso anno, fu aperta al pubblico. Primo direttore del museo, l’architetto Barone, pubblicò il primo catalogo analitico di tutti i pezzi, catalogo che venne aggiornato nel 1899 con la numerazione definitiva di tutti gli oggetti donati. La raccolta si compone di oltre 2000 reperti ed oggetti vari distribuiti in 28 artistiche vetrine in legno. Orologi, dipinti rari, tabacchiere, dadi, monete, libri sistemati in una libreria con 70 opere di autori vari in 158 volumi, sono solo alcuni esempi della vasta gamma di oggetti presenti. All’ingresso del museo è possibile ammirare un calco in pietra della targa in bronzo della famosa insegna della TAVERNA DI CALIDIO EROTICO del I sec. a.C. i cui ruderi sono ancora oggi visibili nelle adiacenze dello svincolo per Macchia d’Isernia. L’iscrizione riporta i prezzi dettagliati del vitto, del fieno per il cavallo, del pernottamento e quello della “puella” compiacente. La targa è oggi conservata al Louvre di Parigi. Nella sezione archeologica è possibile ammirare un interessante gruppo di bronzi e di ceramiche di epoca protostorica provenienti da Cuma, vasi geometrici italioti, vasi corinzi (VIII-VI sec. a.C.), vasi attici a figure nere e rosse, vasi italioti provenienti dalle antiche fabbriche campane, lucane e pugliesi. La sezione moderna si compone di porcellane, da quelle cinesi a quelle giapponesi, di Sassonia, olandesi, di Sèvres e, per l’ambito italiano, maioliche e porcellane di Capodimonte e di Napoli del sec. XVIII. Tra i dipinti e le sculture sono da menzionare alcune opere di Luca Giordano, Giuseppe Palizzi, del Serritelli, del Tassono e altri (“Il deliquio della Maddalena”, il “S. Girolamo”, il “Mangiatore di Prosciutto” di scuola olandese). Interessante una nutrita collezione di disegni e di progetti alcuni dei quali realizzati dallo stesso Barone. L’antica collezione di monete, in buona parte d’oro e d’argento, e altri oggetti preziosi in oro, avorio, cristallo e argento, sono stati trafugati durante il secondo conflitto mondiale, nella notte del 17 ottobre 1943, forse ad opera di truppe tedesche. L’edificio ottocentesco che ospita il Museo è l’ex palazzo comunale progettato dallo stesso arch. Barone, nobiluomo e mecenate baranellese. La facciata dell’edificio, elegante e sobria, ricalca lo stile fiorentino. Attualmente il Museo è chiuso per restauro. Se finora l’esposizione era stata relegata all’ultimo piano dell’ex palazzo comunale ora le sale verranno distribuite su tutta l’area dell’edificio e le antiche vetrine in legno verranno sostituite con delle nuove allo scopo di meglio preservare la bellezza di un patrimonio che si è tramandato fino ai nostri giorni con tanto amore e dedizione.
Museo Archeologico di Venafro
Nuovo Museo Provinciale Sannitico di Campobasso
- la prima sezione è interamente dedicata ai monili sia ad uso femminile che maschile quali cinture in bronzo, elmetti, punte di freccia, orecchini e bracciali;
- la seconda sezione è dedicata agli utensili di uso domestico. Sono esposti vasi, lampade ad olio, chiavi ed altri oggetti;
- la terza sezione mostra oggetti di vario tipo quali coltelli, pesi e ceramiche;
- la quarta sezione illustra i paramenti militari e dei riti funerari. Si possono ammirare statuine in bronzo e in argilla, amuleti e oggetti intagliati.
I reperti abbracciano un periodo che va dalla preistoria all’epoca tardoromana. Le statuette, il vasellame e i monili provengono per lo più da corredi funerari di sepolture italiche. La vera attrazione è la straordinaria ricostruzione di una tomba di cavaliere con cavallo rinvenuta nella necropoli longobarda di Campochiaro e la collezione di epigrafia. A fare da cornice al tutto il Palazzo Mazzarotta, sito nel cuore della città antica, una superba costruzione del XIX secolo. Un po' di storia: Il Museo nasce nei decenni successivi all’Unità d’Italia (1881) su decreto del consiglio provinciale, quale risultato di una serie di donazioni con oggetti di varie epoche. A organizzare il materiale fu chiamato il famoso archeologo Antonio Sogliano che lavorava a quei tempi a Pompei. Grazie al suo contributo la gran massa di materiale venne organizzata, inventariata ed esposta al pubblico. Durante la seconda guerra mondiale il Museo, allora ospitato nella sede dell’attuale Istituto Tecnico Commerciale L. Pilla, subì notevoli espoliazioni. Vennero sottratte tutte le antiche monete e alcuni oggetti considerati di particolare pregio. Il Museo è stato chiuso per un ventennio prima di essere riaperto al pubblico nel 1995.
Curiosità: Il Museo ospita al suo interno una moneta rinvenuta durante lavori agricoli nelle campagne di Larino databile al III secolo a.C.. Sul diritto della moneta compare la testa di Athena, con un elmo corinzio crestato ed ornato da penne laterali, caratteristico dell'etnìa sannita. Al rovescio, invece, vi è un guerriero in piedi, con elmo corinzio crestato, corazza, schinieri, lancia e scudo. La rappresentazione del guerriero è piuttosto rara e in ambito sannita compare solamente su quelle emesse dopo il III secolo a.C. da Aquilonia, centro che non è stato ancora individuato.
La figura del guerriero è riconducibile a Marte, una delle divinità principali delle genti Safine, imparentate con i Sabini, legata all'invio dei giovani, durante il Ver Sacrum, a colonizzare nuove terre. Le attestazioni del culto di Marte, tuttavia, non sono così numerose come potrebbe sembrare. A Larino, in passato, è stata scoperta una statuetta in bronzo del dio, datata al IV secolo a.C., in un'area dove, forse, sorgeva uno dei santuari della città.
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