Termoli e la sua storia
Video di Maurizio Perrotta
Fino alla seconda metà dell'Ottocento la vita dei termolesi si è svolta prevalentemente all’interno delle mura medioevali del borgo antico. Pian piano, nel corso dei secoli, il cemento ha cominciato a ricoprire quella che un tempo era la campagna coltivata a viti, ulivo e grano. Il "paese vecchio", soprattutto in seguito alla tanto agognata costruzione del porto, ha cominciato a perdere il suo caratteristico aspetto di isolotto divenendo parte integrante dell’abitato nuovo. Le spiagge, un tempo scalo di alaggio per paranze e battelli, hanno lasciato il posto ad una miriade di stabilimenti balneari che d’estate pullulano di turisti italiani e stranieri. Le torri costiere, un tempo vigili sentinelle del territorio, sono oggi dei ruderi e quei trabucchi che un tempo erano un mezzo di sussistenza per molti, ora sono una semplice attrattiva turistica. In una lenta e inarrestabile metamorfosi il paesaggio si è trasformato sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno, ora dopo ora. L’unica cosa che non è mai cambiata con il tempo è lo stretto legame che unisce Termoli al suo mare, un mare che ha da sempre rappresentato l’unica ragion d’essere della cittadina e ne ha caratterizzato profondamente la vita in tutti i suoi aspetti, economici e sociali, religiosi, culturali e politici.
di Lucia Checchia
Per concludere non possiamo non menzionare il porto che ha rappresentato non solo ricchezza per la popolazione locale ma un volàno di sviluppo per l’intera Regione. Localizzato ad est del borgo antico, il porto di Termoli, unico approdo molisano, è un porto polifunzionale attivo sia a livello commerciale e marittimo sia a livello turistico considerando che il flusso dei passeggeri per le Isole Tremiti e la Croazia ha raggiunto in questi ultimi anni le 250mila unità. Nasce prevalentemente come approdo per i pescherecci ed ospita circa 120 imbarcazioni di cui 10 per la piccola pesca impiegando circa 500 operatori. Sul molo nord si è sviluppata con gli anni la cantieristica navale, mentre sul molo sud è stato realizzato un porticciolo turistico. Sulla base di quanto detto finora appare chiaro come sia necessario, se si vuole raggiungere un più sano ed equilibrato sviluppo economico, tracciando le linee guida di una progettualità permanente che non stravolga la natura e la vocazione turistica ed eno-gastronomica di una cittadina che resta sempre e comunque il fiore all’occhiello della Regione Molise, non perdere mai di vista lo stretto legame tra Termoli e il suo mare.
Curiosità: Allo scopo di tutelare la decenza e la moralità nelle pubbliche spiagge, il 20 giugno del 1928, l'allora Podestà di Termoli emanò un’ordinanza con la quale autorizzava i bagni dalle ore 5 del mattino alle ore 20. Sempre con la stessa ordinanza egli riservava le spiagge di S. Antonio e Rio Vivo all’impianto di stabilimenti balneari e dei casotti precisando che le donne potevano bagnarsi sulla scogliera sottostante alle mura del Borgo Vecchio e gli uomini sulle spiagge purché si svestissero alla distanza di almeno 500 metri dagli ultimi casotti privati.
Si vietava inoltre di fare il bagno nella spiaggia di S. Pietro, nella zona dei lavori portuali permettendo alle donne di bagnarsi nel tratto prospiciente il terreno D’Andrea e sino al trabucco Marinucci e agli uomini nel tratto susseguente, sino al limite del Rio Vivo. Le donne, nel bagnarsi, dovevano indossare il costume da bagno o una lunga camicia, gli uomini le mutandine con il costume da bagno. Era vietato passeggiare o soffermarsi sulla spiaggia in mutande da bagno o in camicia o comunque senza essere decentemente coperti. Gli uomini non potevano soffermarsi in prossimità dei bagni delle donne o recarsi a nuoto o in barca nelle loro vicinanze. I trasgressori erano tenuti al pagamento di una contravvenzione e deferiti all’autorità giudiziaria.
Per le vie del borgo antico, attraverso la memoria…
un tempo a Termoli, il palazzo al civico 15 di Via Duomo, nel cuore del borgo antico, ospitava le carceri mandamentali, un luogo di privazioni, di solitudine e di tormento per molti detenuti. Il fabbricato, all’epoca di proprietà della famiglia Norante di Campomarino, venne preso in affitto dal Comune di Termoli a partire dal 1927 dopo che, in seguito al crollo della volta, erano state abbattute le vecchie carceri di Via Roma. Sul finire degli anni Settanta anche le carceri di Via Duomo furono trasferite nei pressi dello stadio comunale, dove fino a qualche anno fa c'era la sede del comando dei vigili urbani. Dirette dal pretore, le carceri accoglievano detenuti che dovevano scontare pene per un massimo di 6 mesi fungendo da transito per i detenuti che da Pescara e Ancona dovevano essere trasferiti a Campobasso e per i detenuti che da Campobasso dovevano essere trasferiti al nord. I detenuti arrivavano tre volte alla settimana a bordo del vagone cellulare alla stazione di Termoli e da lì venivano condotti alla sede carceraria con le mani incatenate. Transitavano a Termoli detenuti di ogni sorta e il loro arrivo faceva radunare la folla incuriosita. C’erano 4 stanze per gli uomini e una stanzetta per le donne e il numero massimo di detenuti era di 12 per gli uomini e 4 per le donne. Al vitto del detenuto provvedeva una donna, la signora Adelina, la quale serviva la colazione alle 8, il pranzo alle 11 e la cena alle 18. Non era possibile avere l’ora d’aria a causa dell’inadeguatezza della struttura e si aveva diritto alle visite solo una volta alla settimana per un massimo di mezzora e con il permesso del pretore. Il custode, affiancato da una custode nelle sue mansioni, viveva in un appartamento all'interno delle carceri. Egli non poteva avvicinarsi alle carcerate, per lo più prostitute, per evitare il rischio di venire accusato di violenza nei loro confronti. Ebbene proprio in quei luoghi, negli anni a cavallo tra il 1947 e il 1948, avvenne un fatto delittuoso: sei detenuti evasero sgozzando l’allora guardia carceraria Giuseppe Cannarsa che custodiva le carceri insieme a sua moglie. Quest'ultima riuscì a salvarsi fingendosi morta. Custodi del carcere dal 1952 al 1980 furono invece i coniugi Barone. Durante la loro permanenza all'interno del carcere, era direttore il pretore Francesco Cancellieri sostituito poi da Giuseppe Nazzaro.
La Cattedrale
La facciata
La facciata della Cattedrale illustra, come fosse la pagina di un libro, il tema religioso del ciclo del Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. La scena della Presentazione (la Purificazione di Maria) posta in posizione privilegiata sul portale dà il titolo all’edificio. La facciata si compone di due parti in notevole contrasto tra loro appartenenti, molto probabilmente, ad epoche e manovalanze diverse. La parte superiore è semplice superficie continua con la sola presenza del rosone a rottura della continuità. Nella facciata inferiore si nota, tra la metà di destra e quella di sinistra, una diversa tessitura del parametro murario. Quella di sinistra appare regolare con conci di pietra tutti della stessa dimensione, quella di destra alterna una fila orizzontale con pietre più grandi e una con pietre più piccole. La facciata si compone di una serie di sette arcate; quella maggiore incornicia la lunetta del portale, le altre sei includono bifore tutte variamente lavorate ed arricchite. Le bifore estreme sono fiancheggiate da leoni stilofori sovrastati da grifi. Delle originarie quattro statue poste a coppie sulle due mensole ne resta solo una, quella di sinistra che raffigura S. Basso, patrono della città.
Il culto di San Basso
Strettamente legato alla tradizione marinara è il culto di San Basso, venerato dalla cittadina termolese da tempo immemorabile. Ne è una riprova la statua sul portale della Cattedrale con tanto di iscrizione. Molto probabilmente Termoli è entrata in possesso delle reliquie del Santo non prima dell’anno mille; resta l’incertezza circa le modalità e la provenienza delle stesse. Le reliquie furono nascoste nella “Grotticella” all’interno della Cattedrale. La fortuna di ritrovarle fu di Tomaso Giannelli, vescovo di Termoli dal 1753 al 1768. Egli ci ha lasciato un resoconto dettagliato del ritrovamento avvenuto la sera del 31 dicembre 1760. Nella relazione datata 8 gennaio 1761 egli attesta il ritrovamento, la ricognizione delle ossa e la decorosa sistemazione delle reliquie per la venerazione dei fedeli. È molto cauto nell’attribuire le reliquie al vescovo e martire di Nizza. Afferma però che le feste del 4 agosto (giorno della traslazione) e del 5 dicembre (giorno del martirio), celebrate da tempo immemorabile, non avrebbero avuto senso se non ci fosse stata la certezza che quel corpo fosse effettivamente quello del santo Vescovo e Martire Basso. Nella sua omelia del 4 agosto 1762 il vescovo capovolge la situazione affermando che le reliquie appartengono a S. Basso martire e vescovo di Lucera. La città di Lucera, in alcuni documenti, ipotizza un furto delle reliquie da parte dei termolesi verso il nono secolo. Secondo il Giannelli dunque il corpo di S.Basso sarebbe giunto a Termoli via terra. Della stessa opinione non è il vescovo D’Agostino convinto sostenitore del fatto che le reliquie appartengono effettivamente a S.Basso di Nizza, trafugato dai marinai termolesi a Marano dopo il X secolo e giunto a Termoli via mare. “La leggenda narra che ad una donna di Marano, sposata ad un uomo di Termoli, fu rivelato misteriosamente che nel sotterraneo della Chiesa di un convento vicino Marano fosse sepolto il corpo di S.Basso. Avvertite le Autorità, la leggenda narra che furono trovate realmente le ossa del santo nel luogo indicato dalla donna. Questa, tornata a Termoli, comunicò tale prestigioso evento ai termolesi che, spinti da chissà quale pio desiderio, di notte navigarono fino alle coste di Marano per trafugare le reliquie del santo. I maranesi, avvertiti del pericolo, impedirono il… sacro trasloco e, con gesto magnanime, donarono alla pia donna l’avambraccio destro. Questa portò la sacra reliquia a Venezia per farla rivestire d’oro e racchiuderla in un’urna d’argento. Ma l’orefice, d’accordo con il Doge, sottrasse la vera reliquia e restituì alla donna un avambraccio finto, di legno di fico e rivestito d’oro. La donna, tornata a Termoli, volendo accertarsi dell’autenticità dell’avambraccio lo punzecchiò con uno spillo; dal pezzo di legno, miracolosamente, sprizzò sangue vivo. In effetti il corpo venerato a Cupramarittima (già Marano) è privo di questa parte. La restante parte del braccio destro fu donata dalla città di Marano alla città di Nizza”.
Il castello
Circa le origini del castello di Termoli si è abbastanza incerti a causa della mancanza di documenti scritti. Alcuni elementi sono tipici dell’epoca normanna, altri dell’epoca sveva, altri ancora di epoca più recente anche se non si esclude l’esistenza di una preesistente torre di origine longobarda. Nel XIII secolo Termoli fu incorporata nel grande impero di Federico II di Svevia. In seguito al saccheggio dei Veneziani, avvenuto nel 1240, il castello appariva gravemente danneggiato e bisognoso di cure. Il castrum di Termoli, porta settentrionale della Capitanata, era situato in una posizione strategica e Federico II ne ordinò la ricostruzione: per questo motivo è detto SVEVO. Quello che oggi appare ai nostri occhi è il frutto di numerose trasformazioni e adattamenti avvenuti nel corso dei secoli, vuoi per l’adattamento ai mutamenti di funzione vuoi in seguito ad eventi calamitosi quali ad esempio il violento terremoto avvenuto nel 1456 del quale restano tracce di lesioni in alcune pareti o a causa di invasioni straniere tra cui ricordiamo quella dell’incursione turca del 1566. Altri pesanti interventi sono avvenuti nel corso dell’Ottocento e dopo la seconda guerra mondiale. Con l’introduzione delle armi da fuoco alcune feritoie ad arciere sono state trasformate in archibugiere. Il nucleo centrale, di origine normanna, è costituito da un edificio a pianta quadrata completamente realizzato in mattoni, coperto da una volta a botte. Durante il periodo Svevo fungeva da cisterna; lo desumiamo dai resti di tubuli per la raccolta delle acque, dalla presenza di intonaco idraulico e dall’apertura quadrangolare ancora oggi visibile nell’angolo sud-ovest. La parte esterna si compone di due grandi volumi sovrapposti. Il basamento è a tronco di piramide con quattro torri semicircolari aggettanti su cortine murarie a scarpa. Il piano terra si compone di 4 grandi ambienti a pianta rettangolare con copertura a botte che fungevano da magazzino e deposito. La comunicazione tra piano terra e primo piano era garantita da scale in legno. Il primo piano, detto corridoio degli arcieri, era l’unico ingresso al castello al quale si accedeva mediante un ponte levatoio del quale restano visibili le fessure, le mensole in pietra sulle quali ruotava il meccanismo e una trave in legno. Il piano pavimentale era originariamente composto da ciottoli allettati con malta, ricoperti da paglia mista a carbone. Attraverso una scala lignea era possibile accedere al terrazzo dal quale, attraverso una scala retrattile in legno, era possibile accedere al donjon il quale si sviluppa su tre piani attualmente inaccessibili in quanto zona militare. Il castello ospita infatti la stazione meteorologica dell’aeronautica militare. All’esterno, sul lato dell’ingresso, sono stati riportati in luce tratti murari probabilmente ascrivibili all’epoca federiciana in funzione di battiponte. Al di sotto del ponte levatoio c’era un fossato. Nel 1799 i Borbone utilizzarono la cisterna inferiore del castello come carcere. Alcuni disegni a carbone scoperti di recente potrebbero essere attribuiti a quel periodo. Dal 1885 il castello di Termoli è annoverato tra i monumenti nazionali e viene utilizzato per ospitare mostre e per celebrare matrimoni civili. Nonostante il suo aspetto sia mutato considerevolmente non è certo privo di fascino.
Foto di Maurizio Perrotta
GRANO DURO IMPORTATO DAL CARICATOIO DI TERMOLI PER I PASTIFICI DI MINORI (1754-1768)
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Fonte: G. Cirillo, Alle origini di Minerva trionfante, Roma, 2012, pag. 47. |
CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI AL 10 FEBBRAIO 1901. Nel 1901 su 5.124 abitanti residenti, Termoli contava effettivamente 5.117 abitanti di cui 4.621 residenti in paese e 496 in campagna.
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