di Lucia Checchia
La storia
ci racconta che le prime “pratiche prototuristiche” sono da rintracciarsi nella “villeggiatura al mare”, prassi già praticata nella seconda metà del I sec. a.C.,
epoca in cui gli aristocratici romani solevano trascorrere le proprie “vacanze”
in sontuose ville costruite sulla riva del mare con porticati e moli che si
estendevano sino all’acqua. In questi ritrovi di vita mondana, nei quali
venivano organizzate feste e spettacoli, si poteva accedere solo tramite
invito. I moralisti dell’epoca li consideravano luoghi di perdizione, nei quali
venivano consumati gli amori più sfrenati e nei quali ci si lasciava andare
alle più disparate esperienze erotiche.
Di giorno si organizzavano banchetti in barca
o sulla spiaggia. Parte della giornata veniva trascorsa alle terme (le località
marittime ospitavano spesso anche centri termali). L’amore per i viaggi e la
villeggiatura trovava sostegno in una formidabile rete stradale che collegava
Roma a tutto il mondo allora conosciuto. Le strade, sviluppate soprattutto per
garantire un efficiente servizio postale, erano dotate, ad intervalli regolari,
di stazioni di cambio per i cavalli (mutationes). Per le soste
più lunghe c’erano le mansiones, dove erano dislocate locande per soste notturne e botteghe
artigiane di vario tipo.
Per gli
spostamenti lunghi venivano utilizzati i raedae,
comodi carri a quattro ruote. Per le brevi distanze si preferivano i carpenta
o i cisia, carri a due ruote
trainati da muli.
Chi
non disponeva di mezzi di trasporto propri poteva noleggiarli alle stazioni di
posta dai cisairii o dai carrucari.
Durante i loro spostamenti, i viaggiatori potevano
consultare gli Itineraria, ovvero
delle guide viarie dove erano indicate le stazioni di sosta, lo stato delle
strade e le notizie essenziali sulle regioni e i vari centri. Oltre agli
itinerari di tipo descrittivo ne esistevano altri disponibili in forma di
grafici o cartine.
Con il declino dell’impero romano e le sempre più frequenti
invasioni barbariche, questi luoghi di ritrovo si trasformarono in luoghi di difesa,
divenendo delle fortezze.
Con la diffusione del Cristianesimo si chiuse l’epoca dei bagni. Alla cura del
corpo e al mito della bellezza si sostituì la mortificazione della carne.
I viaggiatori ripresero a frequentare assiduamente le
stazioni termali marine solo nel 1720 in Gran Bretagna dove il “turismo balneare”
si affermò tra il 1755 e il 1780. Il ritorno all’acqua trovava la sua
giustificazione nella scienza medica che esaltava le virtù del bagno nell’acqua
fredda del mare. All’inizio dell’Ottocento dall’acqua si passò all’aria di mare
che, secondo i trattati medici, contribuiva alla guarigione delle malattie
respiratorie. L’attrazione principale delle stazioni balneari era il Kursaal,
una costruzione a ridosso della marina che si prolungava fino al mare mediante
un molo sorretto da piloni. A contribuire al rapido sviluppo delle località
balneari fu la nascita della ferrovia e l’impegno finanziario profuso dagli
imprenditori locali e dalle pubbliche amministrazioni per dotare questi centri
turistici di strutture ricreative e ricettive.
In Italia i bagni di mare fecero la loro comparsa alla fine
del Settecento anche se, per tutta la prima metà dell’Ottocento, vennero
considerati una terapia da usare con cautela. I primi stabilimenti erano
costruiti in legno e i bagnanti si calavano in acqua con l’ausilio di scalette
che partivano da camerini posti su “piattaforme”. Solo nei primi decenni del
Novecento il bagno perse la sua funzione terapeutica divenendo un momento di
svago.
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