sabato 1 dicembre 2012

L'opera al Nero: personale di Pasquale Nero Galante

Sarà inaugura oggi, sabato primo dicembre, alle ore 18.30 presso la sede di "Officina Solare", in Via Marconi, 2 a Termoli la personale di Pasquale Nero Galante dal titolo "L'opera al Nero". La mostra resterà aperta fino al 13 dicembre 2012. Si tratta della Terza mostra personale, in questo 2012, per Pasquale Nero Galante. Per la prima volta in Italia, la mostra ripercorrerà la vasta produzione dell'artista, dalla prima esposizione all’Accademia di Ungheria a Roma nel 1993 fino alle ultime sue personali a Roma, Istanbul ed Arezzo. 
Il nero di Pasquale Galante – nero scelto anche nella firma artistica – non è il semplice rigore di un colore, espressione quindi di una cifra stilistica, epidermide calligrafica e decorativa, modo di “fare” che si caratterizza in sé e per sé. Questa antologia che vediamo riunita oggi è dichiarazione del percorso artistico e della ricerca percettiva che a partire dal nero, e nel nero, hanno trovato la forma e la dimensione di una visione essenziale e dura, questa sì rigorosa, visione che è esperienza del mondo, origine e strumento di conoscenza, non fine dilettevole né scopo sentimentale. L’opera al nero è opera sulla materia grezza del reale, distillazione dall’esteriorità e dalla provvisorietà degli elementi ornativi, prosciugamento fino alla pura materia e alla sostanza costitutiva del visibile. Nudità dai colori dell’effimero. Così come nell’omonimo romanzo della Yourcenar – riferimento assolutamente ragionato e intenzionale per questa mostra – il nero indica un peregrinare dello spirito, il processo ostico e mirabile verso la coscienza di sé e dell’esistenza, il soffermarsi al fulcro primario di ogni conoscenza, al centro della vita, al centro delle emozioni, al centro di ogni umano sentire e praticare. Il lavoro dell’artista, questo dipingere laborioso e grave, apre squarci per l’intuizione di chi osserva, anzi la proietta sul ciglio di un abisso nero impenetrabile dove è necessario dominare l’equilibrio instabile della visione, cercare di trattenere lo svanire fumoso delle forme, quello liquido e corrosivo delle materie pittoriche. I quadri di Pasquale Nero Galante costruiscono l’immagine come emersione e stacco definitivi da ogni corredo d’ambientazione e scenografico, i soggetti sono i soli dominatori della superficie visiva, sottratti e sublimati dai fondi recessi di intangibile assoluto. Ogni immagine è coscienza dell’istante fermato, presa d’atto di uno stato dell’essere chiuso in sé, irrelazionato e irrelazionabile ad altro se non a sé. Si comprende che il nero, l’opera al nero, è allora un’evocazione, viraggio di tinte terree e di sostanze, contrappunto di luci e ombre, alternanza di abrasioni e sovrapposizioni in lotta di preminenza: tutto per ridurre e per condurre alla sensazione prima, al principio oggettivo e sintetico di ciò che dell’immagine colpisce i sensi e la psiche. Ed è al tempo stesso, la sua negazione, la sorprendente contraddizione fra la visione e la sua imperscrutabilità, la inquietante coesistenza di costruzione e demolizione a contendersi il medesimo atto percettivo. Proprio come è il nero, colore che è irragionevolmente assenza di colore, buio primigenio e cosmogonico, ma anche voragine del lutto e della perdizione, nero che è spazio infinito e prigione invalicabile, nero che è concreto irreale, vacuità e presenza di una condizione umana. 
(francesco giulio farachi) 

da Impressioni di Novembre (tommaso evangelista)

.....il processo appare ancor più interessante poiché in Galante avviene con una gamma cromatica estremamente ristretta (neri, terre, grigi, bianchi) come se alla fine della ricerca il mondo non si riducesse che a pochi elementi, forse sospesi, di certo stratificati. L’immagine ombrosa allora, in bilico tra realtà e sogno, colta nel suo svanire o nel suo formarsi, diventa anche studio particolareggiato del reale come quando Caravaggio andava, come scrive il Baglione, a «ingagliardire gli scuri» per mostrare un «colorito più tinto». Mostrare e negare, quindi, ma senza correre il rischio di cadere in una sorta di gnosticismo di maniera, t anto caro all’estetica post-moderna, per cui spirito e materia sono irrimediabilmente separati e all’uomo non rimane che una materia priva di connotati spirituali, fatta di corpo e sostanza sensibile, da umiliare, quando non da annullare nell’immondo. Si percepisce, certo, una tensione intesa quale scavo non t anto nella realtà qu anto sulla superficie della tela, uno scavo attuato attraverso colature, velature, abrasioni, segno e cancellazione del segno, ma l’idea della rappresentazione di una Natura caotica mi sembra un eccesso di nichilismo da evitare. Le immagini ombrose non sono fantasmi o corpi negati bensì visioni sfuggenti e per questo riduttive, come se i limitati colori producessero nella semiluce ferite e non definizioni, come se la forma forse comunque colta e trattenuta e che collassasse solo per debolezza teorica o mancanza di amore. L’immagine apre però alla contemplazione poiché ricrea dal particolare una sensazione universale, o qu anto meno percepita come reale; il nervosismo insito nel trattamento apparentemente informe non genera confusi intrecci, senza abbellimenti, bensì ci parla di sensazioni e di non-finito, di elementi tattili da apprezzare nella distanza, di empatia e sublimazione.

da L’opera al Nero (francesco giulio farachi)

I quadri di Pasquale Nero Galante costruiscono l’immagine come emersione e stacco definitivi da ogni corredo d’ambientazione e scenografico, i soggetti sono i soli dominatori della superficie visiva, sottratti e sublimati dai fondi recessi di intangibile assoluto. Ogni immagine è coscienza dell’istante fermato, presa d’atto di uno stato dell’essere chiuso in sé, irrelazionato e irrelazionabile ad altro se non a sé....


da In the Black Mirror (angelo andriuolo)

....Il soggetto non è semplicemente dipinto, ma “vissuto”. L’artista ne penetra l’essenza, ne attraversa le nebbie e ne restituisce l’anima. La direzione non è una ricerca del consenso attraverso un ripetitivo “Dejà vu” o accattivante leziosità, ma esclusivamente, puntigliosamente scoperta di nuovi, inesplorati territori attraverso un mezzo classico quale quello della pittura.

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