domenica 11 marzo 2012

Archeologia iblea e Stonhenge. Se ne è parlato a Ergasterion

da ONDAIBLEA


RAGUSA – Che cosa lega due elementi di un amuleto ritrovati nella Sicilia sud orientale con la tomba di Amesbury Archer, nei pressi di Stonehenge, il complesso megalitico della Britannia famoso in tutto il mondo?


È l’affascinante interrogativo a cui ha cercato di rispondere Orazio Palio, ricercatore in Preistoria e Protostoria, partecipando, lo scorso 9 marzo, all’appuntamento di “Ergasterion-Fucina di archeologia” tenutosi a Ibla nell’auditorium di Santa Teresa e promosso dalla sezione di Ragusa dell’associazione “SiciliAntica”. Palio è arrivato a questo raffronto richiamando lo stile campaniforme riconducibile alle placchette in pietra ritrovate nell’amuleto in questione che si rifanno, in qualche modo, ai braccialetti da arciere caratteristici dei complessi campaniformi dell’Europa settentrionale.


“La distribuzione degli elementi campaniformi nella Sicilia sud-orientale – ha precisato Palio – è concentrata in contesti specifici. Tutti i manufatti sono caratterizzati da una diversità stilistica e funzionale. La maggior parte degli esemplari fa però riferimento allo stile locale”.


La concentrazione del bicchiere campaniforme si limita alla metà occidentale dell’isola con sporadiche ma significative eccezioni nella parte orientale e meridionale. È emerso, ad ogni modo, che non esiste una reale continuità territoriale. Della necropoli di Baravitalla, il sito maggiore di Cava Ispica, ha parlato, invece, Giuseppe Terranova, dottore di ricerca in Archeologia presso l’Università degli studi di Messina.


“Gli studi avviati – ha chiarito – permettono oggi di mettere in evidenza un nesso tra le tombe di Cava Ispica e quelle maltesi. Ciò è dimostrato anche dalle similarità architettoniche. Forse, in una prima fase hanno operato le maestranze maltesi, lasciando poi spazio agli artigiani locali”.


Diversi i prospetti delle tombe illustrate da Terranova. Un primo tipo molto semplice, con le colonne simmetriche rispetto all’ingresso che creano quasi delle nicchie.


Nel secondo tipo, invece, c’è una rilettura rozza dei modelli iniziali, come dimostrato dal doppio architrave assimilabile allo stile di un ipogeo maltese. Per quanto riguarda Baravitalla, esistono testimonianze specifiche considerato che alcuni interventi di archeologia preventiva hanno insistito sui luoghi permettendo di ritrovare materiale ceramico la cui incidenza è notevole.


Infine, Maria Federica Gianchino, laurea magistrale presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha esaminato i numerosi rinvenimenti attribuiti al bronzo medio in cui è stata segnalata la presenza di materiale di Thapsos nell’area compresa tra le province di Catania, Siracusa, Ragusa e Agrigento.


“Abbiamo a che fare – ha spiegato – con 6.900 frammenti di materiale diverso. Le dieci classi ceramiche si distinguono per il colore delle superfici, dal rossiccio al nero lucido. Quasi tutta la ceramica è lisciata, poca quella vinilica”.


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